PREFAZIONE ALLA CARTELLA DI SERIGRAFIE
IMMAGINI UMORGRAFICHE
di Mario De Micheli

    La caricatura, il disegno satirico, l’umorismo grafico, in una parola il “segno” al servizio di un’idea critica da enunciare in violazione di ogni tabù morale, sociale e politico, è indubbiamente una conquista moderna. Tuttavia, nell’ambito di un tale esercizio del “segno” in questi ultimi tempi qualcosa è cambiato. Oggi, nei suoi termini più acuti, l’umorismo grafico non può essere più considerato semplicemente «un libertinaggio dell’immaginazione», com’era definito nella voce dell’Enciclopedia, un lusso o un vizio insomma, da permettersi soltanto negli stati di relax. E tanto meno può esaurirsi nella formula secondo cui «il riso fa buon sangue». Questa in fondo era ancora l’interpretazione che Baudelaire dava di Daumier, il caricaturista dal «riso franco e largo» come una manifestazione di “bontà”. Del resto il riso considerato come momento liberatorio o come strategia di un’autodifesa contro l’angoscia è un argomento su cui ha dissertato da tempo  più di uno psicanalista.

Oggi però, nella fenomenologia del riso particolarmente rintracciabile in qualche disegnatore che s’è dedicato a quest’impresa, bisogna sottolineare un fatto diverso. E non parlo soltanto di quell’umorismo nero in cui scattano meccanismi psicologici di natura masochista, il rovescio cioè della medaglia liberatoria o autodifensiva: anche quest’umorismo ha senz’altro trovato nella situazione contemporanea la sua divulgazione più ampia. Parlo invece di un umorismo grafico inteso come attiva presenza sociale, come strumento di verità, operazione sull’uomo e nell’uomo, non già per donargli una rapida consolazione, una fugace tregua, bensì per togliergli anche l’ultima, tenue illusione di felicità, per insidiargli anche il più breve attimo di distensione. Né masochismo, né sadismo però. Oggi seminare il dubbio nel cuore degli uomini può essere salutare. Si tratta di mettere in crisi la pletora dei luoghi comuni che ingombrano ad ogni livello la sfera della coscienza e dei sentimenti, nostra e dei nostri simili: i luoghi comuni sull’amore, sull’ordine, sulla giustizia, sulla salvaguardia dei valori acquisiti; i luoghi comuni che in mille diverse maniere e con mille diversi mezzi di persuasione espliciti od occulti si coltivano e impongono per mantenere l’integrità del sistema. Da questo punto di vista quindi, l’umorismo grafico acquista una sua funzione, diventa cioè una componente della più grande battaglia per restituire all’uomo, senza alibi frastornanti, il possesso di se stesso, la dimensione più giusta dei propri impulsi e delle proprie ragioni.

È questo che i tre disegnatori del Gruppo Stanza, Braschi, Buonarroti, della Bella, intendono fare? Vorrei dire di sì. L’orizzonte in cui essi lavorano ha i limiti oggettivi che ha. Ma questo non dipende da loro. Ormai è diventato una moda addossare sugli artisti le colpe del sistema: Contro l’arte gli artisti è il titolo dell’ultimo libro sull’onda dl questa moda. E d’altronde il sistema non è poi così onnivoro e onnipotente da risolvere a suo favore, inghiottire e digerire, ogni contraddizione che non sia a suo vantaggio. Questo non accado neppure per la fatica dell’intellettuale, se tale fatica ha le sue punte bene acuminate e indurite: “Il Capitale” non ha certo perduto fa sua energia dirompente per il solo fatto che oggi lo pubblicano anche gli editori borghesi. Lo spazio per lanciare le proprie frecce esiste; e bisogna lanciarle. Il problema di moltiplicare le frecce è senz’altro un problema attuale, ma non bisogna neppure pensare che soltanto il “multiplo” lo risolva. Può anche accadere, e accade, che il “multiplo” sia il più mercificabile dei prodotti artistici. Assolutizzare un tale problema significa spostare unicamente sul piano tecnicistico quello che è un problema di sostanza. E per questo, mi pare, che Il “Gruppo. Stanza”, ha messo insieme una cartella di serigrafie senza perdersi nei bizantinismi di certo radicalismo estetico diversivo. Una cosa è impiegare un mezzo per allargare il rapporto delle proprie immagini con una cerchia sempre più larga di “lettori” e un’altra cosa è fondare un’estetica esclusiva su di un presupposto meccanico, sia pure altamente industriale. Una stupidità moltiplicata non cessa per questo di essere una stupidità. Ciò che decide, in ultima analisi, è sempre il contenuto. Ed è proprio il “contenuto” che ha giustamente deciso i tre artisti del “Gruppo Stanza” a moltiplicare le proprie immagini, anche se ancora su di un piano artigianale anziché superbamente tecnologico. Era, per adesso, la loro sola alternativa e l’hanno adoperata nel modo migliore: «A la guerre, comme a la guerre». In questa cartella non ci sono, disegni politici nel senso più esplicito, ma solo disegni rivolti ai complessi dell’uomo contemporaneo alienato dalla società attuale, frustrato nella sua intelligenza e nei suoi istinti. Forse un’amara ironia politica è solo in una serigrafia di Braschi, dove si vede il “Che” con un piccolo gruppo di compagni, che stanno concertando un’azione nella loro solitudine partigiana: una “solitudine” tuttavia che i grattacieli della civiltà dei consumi e dell’informazione, orecchiuti e protesi, viola senza difficoltà. Braschi è un disegnatore sottile, inquieto, padrone di una fantasia pungente, capace di far emergere il disagio di un’esistenza estraniata senza forzare il segno, senza romperlo; della Bella, con una grafia altrettanto sottile, me più distaccata, punta su di un racconto dalla trama assurda, quasi metafisica nella definizione, intenta però, a cogliere gli inganni del sentimento, gli “sbagli” del cuore; Buonarroti, con un segno più marcato, più drastico, tende invece a mettere energicamente in evidenza, con una punta di sarcasmo, gli scompensi di una realtà solo in apparenza scorrevole su binari prestabiliti. Sono tre giovani artisti che vogliono portare, in un genere spesso degradato sino alla regressione psicologica, un accento diverso, una linfa nuova, rivedendone gli assunti e le finalità: ambizione non da poco, e per giunta ambizione solitaria nel senso in cui questi tre amici vogliono lavorare. Ma i risultati, perseguiti già da qualche anno, sono qui e ognuno li può giudicare. Per conto mio, senza nascondere i passi difficili che una simile impresa deve affrontare, considero già le loro prove come una proposta positiva, aperta a un discorso sicuro e possibile.

 

Piazze d'Italia                                                         Graziano Braschi                                          Una tragedia del mare

 

Il sogno di Paolo Uccello genera realtà     Berlinghiero Buonarroti     La violenza è davvero la levatrice della storia

 

 

Cuori solitari                                                         Paolo della Bella                                      La tristezza è un'abitudine

 

 

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