La caricatura,
il disegno satirico, l’umorismo grafico, in una parola il “segno”
al servizio di un’idea critica da enunciare in violazione di ogni
tabù morale, sociale e politico, è indubbiamente una
conquista moderna. Tuttavia, nell’ambito di un tale esercizio del
“segno” in questi ultimi tempi qualcosa è cambiato. Oggi, nei
suoi termini più acuti, l’umorismo grafico non può essere
più considerato semplicemente «un libertinaggio dell’immaginazione»,
com’era definito nella voce dell’Enciclopedia, un lusso o un vizio
insomma, da permettersi soltanto negli stati di relax. E tanto meno
può esaurirsi nella formula secondo cui «il riso fa buon
sangue». Questa in fondo era ancora l’interpretazione che Baudelaire
dava di Daumier, il caricaturista dal «riso franco e largo»
come una manifestazione di “bontà”. Del resto il riso considerato
come momento liberatorio o come strategia di un’autodifesa contro
l’angoscia è un argomento su cui ha dissertato da tempo
più di uno psicanalista.
Oggi però, nella fenomenologia
del riso particolarmente rintracciabile in qualche disegnatore che
s’è dedicato a quest’impresa, bisogna sottolineare un fatto
diverso. E non parlo soltanto di quell’umorismo nero in cui scattano
meccanismi psicologici di natura masochista, il rovescio cioè
della medaglia liberatoria o autodifensiva: anche quest’umorismo ha
senz’altro trovato nella situazione contemporanea la sua divulgazione
più ampia. Parlo invece di un umorismo grafico inteso come
attiva presenza sociale, come strumento di verità, operazione
sull’uomo e nell’uomo, non già per donargli una rapida consolazione,
una fugace tregua, bensì per togliergli anche l’ultima, tenue
illusione di felicità, per insidiargli anche il più
breve attimo di distensione. Né masochismo, né sadismo
però. Oggi seminare il dubbio nel cuore degli uomini può
essere salutare. Si tratta di mettere in crisi la pletora dei luoghi
comuni che ingombrano ad ogni livello la sfera della coscienza e dei
sentimenti, nostra e dei nostri simili: i luoghi comuni sull’amore,
sull’ordine, sulla giustizia, sulla salvaguardia dei valori acquisiti;
i luoghi comuni che in mille diverse maniere e con mille diversi mezzi
di persuasione espliciti od occulti si coltivano e impongono per mantenere
l’integrità del sistema. Da questo punto di vista quindi, l’umorismo
grafico acquista una sua funzione, diventa cioè una componente
della più grande battaglia per restituire all’uomo, senza alibi
frastornanti, il possesso di se stesso, la dimensione più giusta
dei propri impulsi e delle proprie ragioni.
È questo che i tre disegnatori del Gruppo
Stanza, Braschi, Buonarroti, della Bella, intendono fare? Vorrei
dire di sì. L’orizzonte in cui essi lavorano ha i limiti oggettivi
che ha. Ma questo non dipende da loro. Ormai è diventato una
moda addossare sugli artisti le colpe del sistema: Contro l’arte gli
artisti è il titolo dell’ultimo libro sull’onda dl questa moda.
E d’altronde il sistema non è poi così onnivoro e onnipotente
da risolvere a suo favore, inghiottire e digerire, ogni contraddizione
che non sia a suo vantaggio. Questo non accado neppure per la fatica
dell’intellettuale, se tale fatica ha le sue punte bene acuminate
e indurite: “Il Capitale” non ha certo perduto fa sua energia dirompente
per il solo fatto che oggi lo pubblicano anche gli editori borghesi.
Lo spazio per lanciare le proprie frecce esiste; e bisogna lanciarle.
Il problema di moltiplicare le frecce è senz’altro un problema
attuale, ma non bisogna neppure pensare che soltanto il “multiplo”
lo risolva. Può anche accadere, e accade, che il “multiplo”
sia il più mercificabile dei prodotti artistici. Assolutizzare
un tale problema significa spostare unicamente sul piano tecnicistico
quello che è un problema di sostanza. E per questo, mi pare,
che Il “Gruppo. Stanza”, ha messo insieme una cartella di serigrafie
senza perdersi nei bizantinismi di certo radicalismo estetico diversivo.
Una cosa è impiegare un mezzo per allargare il rapporto delle
proprie immagini con una cerchia sempre più larga di “lettori”
e un’altra cosa è fondare un’estetica esclusiva su di un presupposto
meccanico, sia pure altamente industriale. Una stupidità moltiplicata
non cessa per questo di essere una stupidità. Ciò che
decide, in ultima analisi, è sempre il contenuto. Ed è
proprio il “contenuto” che ha giustamente deciso i tre artisti del
“Gruppo Stanza” a moltiplicare le proprie immagini, anche se ancora
su di un piano artigianale anziché superbamente tecnologico.
Era, per adesso, la loro sola alternativa e l’hanno adoperata nel
modo migliore: «A la guerre, comme a la guerre». In questa
cartella non ci sono, disegni politici nel senso più esplicito,
ma solo disegni rivolti ai complessi dell’uomo contemporaneo alienato
dalla società attuale, frustrato nella sua intelligenza e nei
suoi istinti. Forse un’amara ironia politica è solo in una
serigrafia di Braschi, dove si vede il “Che” con un piccolo gruppo
di compagni, che stanno concertando un’azione nella loro solitudine
partigiana: una “solitudine” tuttavia che i grattacieli della civiltà
dei consumi e dell’informazione, orecchiuti e protesi, viola senza
difficoltà. Braschi è un disegnatore sottile, inquieto,
padrone di una fantasia pungente, capace di far emergere il disagio
di un’esistenza estraniata senza forzare il segno, senza romperlo;
della Bella, con una grafia altrettanto sottile, me più distaccata,
punta su di un racconto dalla trama assurda, quasi metafisica nella
definizione, intenta però, a cogliere gli inganni del sentimento,
gli “sbagli” del cuore; Buonarroti, con un segno più marcato,
più drastico, tende invece a mettere energicamente in evidenza,
con una punta di sarcasmo, gli scompensi di una realtà solo
in apparenza scorrevole su binari prestabiliti. Sono tre giovani artisti
che vogliono portare, in un genere spesso degradato sino alla regressione
psicologica, un accento diverso, una linfa nuova, rivedendone gli
assunti e le finalità: ambizione non da poco, e per giunta
ambizione solitaria nel senso in cui questi tre amici vogliono lavorare.
Ma i risultati, perseguiti già da qualche anno, sono qui e
ognuno li può giudicare. Per conto mio, senza nascondere i
passi difficili che una simile impresa deve affrontare, considero
già le loro prove come una proposta positiva, aperta a un discorso
sicuro e possibile.