Ci sono modi diversi di essere giovani
poeti. Quello di della bella ha un timbro netto, spavaldo, perentorio.
Echi del ‘68, ma al di là di questo: speranze e rabbia, volontà
rivoluzionaria e routine, fronti che si scompaginano, tattiche logoranti,
la storia di quest’ultimo decennio. Un primo dato importante: la passione
politica. Un virus che ad onta dell’indignazione dei ceti dominanti,
è entrato nel sangue anche di chi dovrebbe pensare a «farsi
una posizione» nel paradiso del consumismo putrefatto. Ma la
passione politica di della Bella non intorbida i pensieri, non rende
settari e unilaterali. Proprio questa poesia c’insegna che questa
è una passione «umana», umanizzante, capace di
legare insieme il filo amaro dei giorni. Della bella non ha atteggiamenti
gladiatori e dissacratori. La sua «cronologia» è
fatta di avvenimenti al margine della cronaca. Il suo sobrio e tagliente
«giornale di bordo» annota le cattive bonacce, segue I
cammini discordi delle correnti e s’intrica, senza smarrirsi, nei
tortuosi e confusi itinerari della lotta di classe. Ma tutti questi
elementi, che sembrano bilanciarsi tra «pubblico» e «privato»,
sono investiti di un singolare magnetismo: hanno una potenza d’irradiazione
lirica insospettabile proprio in virtù della loro grammatica
scabra, oserei dire, del loro alfabeto primordiale. Il tono sentenzioso
è scontato dall’ironia, l’ingenuità disarmata e disadorna
è confutata dalla sapiente pregnanza dei sottintesi, dal furore
livido delle ellissi. Il taglio epigrammatico di della bella sostituisce
la punta polemica alla metafora. La sua intelligenza ironica fa giustizia
delle piccole «delinquenze» della letteratura: non inventa
codici per l’universale fabbrica della menzogna.