Paolo della Bella è noto come grafico e redattore di Ca Balà,
la rivista di satira politica che ha dato un consistente contributo di
rinnovamento oltre il quadro qualunquista dell’umorismo autoctono. Proprio
per questa continua presenza nei fermenti dell’underground, Paolo della
Bella ha potuto trascrivere in brevi epigrammi, a partire dal 1966, le
situazioni emergenti del e nel movimento e si deve precisare che si tratta
di brevi composizioni assai filtrate, « tagliate »in senso
surrealista, personali per il dramma morale e politico che i versi denunciano:
il dramma, detto molto in sintesi, consiste nel vivere una vita ed una
cultura clandestine, senza la possibilità — allo stato attuale —
di renderle efficienti in una linea rivoluzionaria globale. Il dramma,
indubbiamente, riguarda molti giovani maturatisi intorno al 1968, eppure
in della Bella assume risvolti singolari, proprio per il complicarsi di
asciutte analogie spesso distese in versi di estrema leggibilità
ed icasticità.
Non è qui il caso di citare testi particolarmente incisivi,
anche perché la raccolta presenta esiti uguali, ma sarà interessante
per il lettore una chiave di lettura sul meccanismo analogico teso a ribaltare
i significati correnti del messaggio o per «inventarne» altri,
secanti una situazione di stallo. Così, per esemplificare, risulta
originale il concetto di dovere-rivoluzione, la masticazione di primi piani,
l’ubriacatura di inchiostro Ghestetner, le barricate d’amore. Si tratta
di sintagmi che testimoniano dell’operatività di questo discorso,
della sua necessità pragmatica di fronte a situazioni da rimuovere
con ogni mezzo. Su questa linea si può impostare la lettura del
testo, tenendo presente la sua irreversibilità, la sua datazione
che aspira ai tempi lunghi nella misura in cui fa del presente un momento
esemplare.
La domanda che a questo punto, dopo avere letto altri testi di poesia
documento, ci si pone è questa: in che misura questo nuovo testo
va oltre il grido, la confessione, il canto ed il discanto, insomma oltre
la commistione fra privato e pubblico così come si è soliti
leggere in molti poeti underground?
Direi che per della Bella, come per quasi tutti gli altri poeti inclusi
nella collezione di Collettivo r, il salto di qualità sia individuabile
nell’essere altro dal letterato: cioè nell’essere, come momento
primario, operatore di cultura alternativa, ovvero popolare nel suo impianto
e nelle sue finalità politiche tout court.
Si tratta di operatori che partono dalla premessa che il testo, il
risultato oggettivo conta nella misura in cui riesce ad assimilare — di
fatto — le motivazioni storiche e culturali. Ed è, anche quella
del della Bella, una poesia «di fatto» dove la ricerca linguistica,
la tensione morale sono a monte, mentre la struttura letteraria tende all’ipotassi
non riduttiva, ma sostenuta da uno scarto inventico parasurrealista.
Fra i poeti di Collettivo r della Bella è il più out
alla poesia e, forse, il più interno all’invenzione di « manifesti
» surreali, dettati da una tensione unificata dei momenti esistenziale
e politico.
Della Bella scrive come vive o, a volte, come vorrebbe e rimane alla
fine, in chi lo legge, il flusso della sciarpa rossa » della contestazione.
Ciò è sufficiente a dimostrare che anche la collezione di Collettivo r ha, se non altro, riempito quel «vuoto letterario»
di cui parlava — in questo caso a torto — Pasolini. Le «cronologie»
di della Bella, questi suoi scanditi sigilli, ne sono un’ulteriore dimostrazione.